La triste
storia che si sta intessendo sul nostro torrente Margorabbia ci fa capire che
parlare di “energie rinnovabili” non é di per sé garanzia di vero sviluppo.
Non è
sufficiente, infatti, preparare un progetto rispettando i percorsi burocratici previsti
dalla normativa.
Occorre
valutarne la coerenza con il rispetto dell’ambiente, con le possibili
conseguenze, con l’efficacia complessiva dell’azione.
Si tratta
innanzitutto di “ecologia mentale”.
Tra noi e il
territorio in cui viviamo c’è un rapporto intimo di reciprocità.
Una società privata ha chiesto la concessione per
l’utilizzo a scopo idroelettrico dell’acqua del fiume Margorabbia.
Il progetto prevede la costruzione di due mini centrali
idroelettriche, una a 300 metri dall’altra, su proprietà di terzi e quindi con
conseguente procedura di esproprio da parte degli enti pubblici competenti,
essendo l’opera di interesse pubblico perché finalizzata alla produzione di
energia pulita.
Le due centrali prevedono la creazione di uno
sbarramento sull’alveo del fiume, tale da innalzare il livello dell’acqua di
circa 2 metri e convogliarla in un canale laterale ove è installata una turbina
Kaplan.
Questa soluzione tecnica è fortemente invasiva dal
punto di vista ambientale, paesaggistico ed idraulico, in una zona che ha visto
nel recente passato parecchie esondazioni con danni gravissimi per la
popolazione della frazione di Cucco-Riviera (autunno 2014 parte della
popolazione è stata sfollata a causa di una piena improvvisa del fiume).
La società titolare delle due mini-centrali ha
avuto tutte le necessarie autorizzazione dagli enti competenti (Provincia e
Regione) senza che minimamente la popolazione sia stata informata o chiamata ad
esprimere un parere su quest’opera che sicuramente avrà effetti sulla loro
esistenza.
E’ evidente che questo non è un esempio di
democrazia energetica; anzi risulta evidente come anche le leggi e la
burocrazia, che dietro di esse si cela, tenga veramente in poco conto che
l’energia è un bene comune al servizio dei cittadini che devono e vogliono
essere presenti nelle scelte e nel controllo del loro territorio affinché casi
come quello di Riviera non si verifichino più e si sviluppi una partecipazione
più attiva nelle scelte energetiche.
Qualche esperienza positiva nell’alto
varesotto da prendere come esempio c’è.
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Nel 2013 TERREdiLAGO (www.terredilago.it) ha iniziato a
sensibilizzare i consumatori sulla possibilità di cambiare il proprio fornitore
di energia elettrica, passando ad un fornitore che garantisce energia pulita al
100% grazie alla convenzione Co-Energia (www.co-energia.org), un’associazione
che riunisce Distretti di Economia Solidale e Gruppi di Acquisto Solidale
(GAS).
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Successivamente si è lanciato il progetto
“Adotta una centrale”, volto alla riattivazione della micro-centrale
idroelettrica di Rancio-Valcuvia, interessante pezzo di storia del nostro
territorio.
Nel
1924 una donna, Giuseppina Velati, titolare dell’opificio Velati in Rancio
Valcuvia, pensò di produrre energia elettrica per i suoi macchinari utilizzando
l’acqua del fiume Rancina che attraversa il paese; costruì quindi una centrale
idroelettrica che fu poi dismessa negli anni ’40 dopo un’accesa diatriba con il
podestà del Brinzio sul diritto di utilizzo dell’acqua.
Oggi
questa micro-centrale, prima in stato di abbandono, sta per essere riattivata
grazie ad uno strumento dell’economia solidale: l’azionariato popolare, ovvero
gruppi di cittadini che si riuniscono in una cooperativa (Cooperativa
Retenergie – www.retenergie.it) e, dando
ciascuno un piccolo contributo, finanziano la ricostruzione e la gestione della
micro-centrale.
Dal
punto di vista dell’impatto ambientale occorre evidenziare che si tratta di un
ripristino di un’opera esistente senza creare effetti negativi sull’ambiente,
mantenendo un deflusso adeguato di acqua nell’alveo naturale.
Il
progetto ha anzi un impatto positivo perché in collaborazione con la Biblioteca
Comunale di Rancio, verrà attivato un percorso didattico sull’energia, che consentirà ai ragazzi delle scuole di “camminare”
lungo il tragitto che fa l’acqua dall’opera di presa fino alla turbina.
Potranno
così comprendere come si trasforma l’energia, perché l’energia più pulita è quella che non
consumiamo migliorando l’efficienza energetica degli impianti e modificando i
nostri stili di consumo. Unire le comunità per riattivare una micro-centrale
idroelettrica per produrre energia in modo pulito è un esempio concreto di
partecipazione popolare .
Se
si vuole, si può cambiare un sistema che tende a sottrarre i beni comuni, come l’energia e
l’acqua, al controllo delle popolazioni.
Oggi non
possiamo più commettere errori.
Il ventunesimo secolo ci introduce a nuovi problemi
che richiedono complesse ed urgenti risposte.
Presto la popolazione mondiale raggiungerà il suo
massimo: avremo difficoltà di reperimento di alcune risorse
come cibo e acqua.
Petrolio ed altri minerali diventeranno sempre meno
disponibili.
Per la prima volta l’uomo dovrà fare i conti con la
necessità di contenere al massimo la produzione di gas ad effetto serra, conseguenza dello sconsiderato impiego delle
fonti fossili.
Pena la fine dell’umanità.
Si è ormai capito che siamo nel bel mezzo di una
crisi energetica, molto probabilmente la più importante nella storia
dell’umanità. Questa crisi sta innescando un periodo di transizione
caratterizzato da instabilità ed oscillazioni tra possibili vie di uscita.
Nei periodi di transizione, coloro che fanno parte
del sistema energetico (movimenti sociali, forze politiche organizzate, gruppi
di interesse economico, governi ed istituzioni, cittadini e comunità locali)
esercitano un ruolo importante: in base alle pressioni che riescono ad
esercitare, il sistema prende un orientamento che nel tempo si fa dominante e
così ci si ritrova collocati in un nuovo sistema energetico.
Un storico
della Columbia University, Timothy Mitchel, nel suo libro “Carbon
Democracy”, ha delineato una relazione molto stretta tra l’avvento del carbone
e l’importanza della classe operaia come soggetto politico organizzato
all’interno delle democrazie occidentali.
Il ciclo del carbone permetteva alla classe operaia
di poter rivendicare i propri diritti attraverso lo strumento dello sciopero in
una serie di nodi centrali del suo ciclo produttivo, dalla sua estrazione fino
all’utilizzo nelle centrali.
Pensiamo a quanta risonanza ha avuto ancora negli
anni 1984-1985 lo scontro tra i minatori del carbone e la Tatcher che voleva
chiudere, ed effettivamente li chiuse, tutti i siti minerari in Inghilterra,
non solo per ragioni economiche ma anche per sottrarre ai lavoratori un terreno
di lotta con cui rivendicare i loro diritti.
Non a caso la chiusura delle miniere prevedeva una
transizione energetica verso il petrolio ed il nucleare, fonti energetiche che
richiedono un sistema di potere molto concentrato.
E così siamo arrivati all’attuale modello
energetico da cui parte la transizione energetica che stiamo vivendo ora.
La domanda che ci poniamo è: sarà veramente una
transizione verso un modello energetico democratico basato sulle energie
rinnovabili e sulla decentralizzazione della produzione?
Qualche dubbio viene.
Nella Conferenza Mondiale sui Cambiamenti Climatici
(COP21), tenutasi a Parigi nel dicembre 2015, i
capi di stato e di governo hanno siglato uno “storico” accordo internazionale
sul clima che prevede un impegno a fermare il riscaldamento globale “ben al di
sotto dei 2 °C” dai livelli preindustriali, con la volontà di contenerlo entro
1,5 °C; per fare questo occorre ridurre drasticamente le emissioni di
gas ad effetto serra ed attuare drastiche politiche di “decarbonizzazione”
passando ad un sistema energetico basato sulle energie rinnovabili. Ciò
significherà investimenti massicci nel settore delle rinnovabili e le grandi
lobbie economiche non si lasceranno certo sfuggire l’affare.
Occorre che la transizione energetica in atto porti ad
una vera e reale democrazia energetica incentrata sulla partecipazione dei
cittadini alla produzione ed al risparmio dell’energia necessaria al proprio
sostentamento, superando la posizione di meri consumatori. Del resto le energie
rinnovabili si prestano molto bene al concetto di democrazia energetica in
quanto consentono una generazione energetica diffusa, un coinvolgimento delle
piccole e medie imprese locali o regionali, un potere di scelta tra sistemi diversi
di produzione ed accumulo ed una attenzione particolare del cittadino all’efficienza
energetica. Si tratta di favorire la diffusione di questi concetti e di
promuovere a livello politico scelte energetiche che puntino sulla
decentralizzazione e sulla democratizzazione del sistema energetico.
In molte parti d’Italia stanno nascendo comunità
locali che decidono di partecipare attivamente alle scelte energetiche degli
enti locali per sperimentare nuovi modelli di gestione collettiva del bene
comune energia. Si parte dal Piano Energetico Comunale fino alla creazione di
cooperative che consentono a gruppi organizzati di cittadini di produrre e
distribuire energia pulita raggiungendo persino l’indipendenza energetica della
loro comunità locale.
E’ compito
delle Amministrazioni Locali, delle Istituzioni quali la scuola, della stampa e
dei mezzi di comunicazione, delle associazioni, fare in modo che i cittadini
partecipino alla gestione del territorio e diventino consapevoli delle azioni
che vengono messe in atto.
Noi siamo
presenti e opereremo per garantire il coinvolgimento perché la gente sappia,
perché ogni cittadino venga fatto partecipe.
La tutela del
territorio richiede un’attenzione particolare da parte di tutti, per evitare
conseguenze spiacevoli.
Abbiamo visto
più volte le conseguenze disastrose di una politica troppo superficiale,
pressapochistica, se non troppo attenta ai profitti di pochi, incapace di
operare tenendo in giusta considerazione i ritmi e le forze della natura.
ARTICOLO SCRITTO DA TERRE DI LAGO E AISU